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Newsletter n° 1 del 15/03/2016
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Come anticipato nella precedente comunicazione, la relazione presentata quest’anno al Consiglio Regionale dall’Ufficio del Difensore Civico del Piemonte contiene alcune, non marginali, riflessioni sul sistema di difesa civica disciplinato dalla legge regionale approvata nel 1981 e sulla opportunità di un suo aggiornamento.
Si è sottolineato come non siano sufficientemente valorizzate, tra le funzioni della Difesa Civica, quelle di tutela dei diritti umani ed antidiscriminatoria che gli ordinamenti sopranazionali (da ultimo va rammentata la Risoluzione 63/169 adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 20 marzo 2009)) riconoscono invece quale esigenza di primario interesse per i singoli stati, suggerendone l’adozione.
Vero è che nell’attività dell’Obdusman, così come disegnata dalle prime leggi regionali che l’hanno disciplinata, è certamente compresa anche una complessiva attività di controllo sul buon andamento della pubblica amministrazione e dunque ad essa non è mai stata estranea la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini nei confronti dell’amministrazione nelle materie della salute, dell’ambiente e del lavoro: tant’é che in questa direzione, già da svariati anni, si è mosso l’ufficio del Difensore Civico Regionale del Piemonte.
E’ tempo però di un esplicito riconoscimento normativo proprio con riferimento al ruolo di tutela dei diritti fondamentali, un riconoscimento che non lasci adito a dubbi e che consenta di conferire alla Difesa Civica maggiore autorevolezza nei confronti dei propri interlocutori istituzionali e, conseguentemente, di recuperare le potenzialità inespresse dell’istituto ed in questo senso vanno le proposte contenute nella relazione alla cui lettura si rinvia.
La relazione ha inoltre affrontato i delicati temi della continuità assistenziale per gli anziani non autosufficienti e dei tagli lineari alla sanità regionale, dando conto del rilievo centrale che tali questioni hanno rivestito e rivestono nell’attività dell’ufficio
In questo contesto ampio spazio è stato anche dedicato al tema del benessere degli anziani non autosufficienti ricoverati nelle c.d. “case di riposo”, segnalando la difficile condizione di chi si trova a trascorrere gli ultimi anni della propria vita, spesso proprio malgrado, dovendo condividere con sconosciuti spazi, abitudini, interessi e stili di vita diversi e sottostando a regole decise da altri.
Nelle residenze per anziani, anche nei casi di un’accettabile o buona assistenza sanitaria, il problema principale è quello delle limitazioni alla libertà del ricoverato e delle carenze nella tutela del rispetto della persona
A volte sono infatti poste in essere “cattive pratiche”, conseguenti alla standardizzazione delle attività ed alla insufficienza del personale. Riferisce la Dirigente del servizio Infermieristico di una ASL Triestina che “. . . anziché portare la gente al bagno si usa il pannolone impropriamente e si inducono incontinenze; si producono lesioni da decubito per scarsa attenzione all’idratazione, all’alimentazione, alla mobilizzazione. . .vi sono anche le pratiche invasive:. Due esempi: l’immobilizzazione con l’ago in vena e la fleboclisi idratante perché nessuno ha incoraggiato la persona a bere o le ha dato da bere; l’installazione della gastrostomia endoscopica per cutanea per nutrire rapidamente la persona con una siringa, una pratica finalizzata spesso a sostituire il personale che dovrebbe imboccarla ma che così priva il grave disabile anche del piacere del cibo”
Rammenta a sua volta il Comitato Nazionale di Bioetica che: “rilevante è il maltrattamento negli istituti . . . Il fenomeno, pur essendo ampiamente conosciuto, è stato finora sottovalutato sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Negli Usa, secondo il National Elder Abuse Incidence study, almeno un milione e mezzo di anziani subirebbe ogni anno abusi.. Spesso possono essere responsabili dei maltrattamenti gli operatori. . vittime di una condizione di logorio psichico , . . da cui consegue una sensazione di impotenza e fallimento per l’incolmabile squilibrio tra bisogni e risorse, tra ciò che gli assistiti chiedono e le possibilità di rispondere. . . D’altronde negli ultimi anni frequentemente le cronache riferiscono di ispezioni dei Nas che hanno evidenziato numerose inadempienze riguardanti sia istituti pubblici che strutture convenzionate e che attengono non solo a profili di non rispondenza alle normative del settore ma anche a soprusi e maltrattamenti commessi ai danni dei ricoverati.”
Va inoltre sottolineato che le fattispecie di maltrattamento, od anche le mere disattenzioni e/o trascuratezze, sono realizzate più frequentemente proprio nei confronti degli anziani più fragili, quelli affetti da demenza ed altre patologie fortemente invalidanti, privi di familiari in grado di controllare; in altri casi sono invece i familiari che decidono di tacere per il timore che il proprio caro possa subire ritorsioni.
Naturalmente non si deve fare di ogni erba un fascio, evocando una abituale e generalizzata violazione del rispetto della dignità della persona per gli anziani non autosufficienti nelle residenze sanitarie in cui costoro vengono ricoverati.
I troppo numerosi casi venuti alla luce in occasione di controlli testimoniano però del fatto che esiste, e non deve essere colpevolmente sottovalutato, il rischio della violazione dei diritti fondamentali della persona nei luoghi della istituzionalizzazione non solo degli anziani non autosufficienti ma, più in generale di persone affette da disabilità.
Vi è dunque un’importante esigenza di controllo non solo del rispetto formale delle normative che riguardano requisiti strutturali e di funzionamento delle strutture residenziali socio sanitarie (affidato alle Commissioni di Vigilanza) ma anche dell’effettivo rispetto della dignità dei ricoverati.
La dignità della persona umana, la cui tutela è affidata agli articoli 3, 32, 36 e 41 della Costituzione, può essere aggredita nella sua estrinsecazione sociale o nella sua coniugazione con il valore del lavoro o in conseguenza di un dannoso dispiegarsi della iniziativa economica.
Ci ricorda Stefano Rodotà che l’inviolabilità della dignità della persona si concretizza anzitutto nella inviolabilità del corpo: questa è l’intuizione rivelatrice contenuta nel secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione dedicato al diritto alla salute.
Il tema assume indiscutibile rilievo nell’attività del Difensore Civico chiamato, in una prospettiva europea, a “contribuire a rafforzare il sistema di tutela dei diritti dell’uomo” intervenendo a favore delle della categorie più deboli e dei soggetti più fragili.
Tant’è che, allorquando ci si trovi in presenza di illeciti penali commessi a danno di disabili, anche la prospettiva nazionale, pur se in generale meno esplicita rispetto a quella europea nel riconoscimento al Difensore Civico di compiti di tutela dei diritti inviolabili della persona, lo facoltizza, in questa ipotesi, a costituirsi parte civile in rappresentanza di un interesse generale. Quanto all’uso della contenzione nei confronti degli anziani esso invoca massimamente l’intervento della difesa civica.
La relazione del Comitato Nazionale di bioetica dedicata alla contenzione osserva infatti come, per gli anziani l’uso della contenzione “è ancora più sottaciuto di quanto non accada per i pazienti psichiatrici. . . Molteplici sono le forme di contenzione meccanica per gli anziani, volte a limitare la libertà di movimento dell’intero corpo o di parti di esso: dai bracciali per immobilizzare polsi e caviglie, alle fasce addominali per bloccare a letto o alla carrozzina. . ai tavolini per carrozzina, ai vari tipi di camicie, come i ‘fantasmini’ che si indossano come una maglia lasciando libere braccia e mani” .
A ciò si aggiunga infine che le ragioni che effettivamente motivano l’uso della contenzione nei confronti degli anziani normalmente hanno a che vedere solo in parte con quelle dichiarate (necessità di una maggior protezione del non autosufficiente dal rischio di cadute e di altri eventi dannosi) ma sono da ricercare nella necessità di compensare un’inadeguatezza numerica del personale o nella volontà di costringere il paziente ad adeguarsi a cure che egli rifiuta od anche in condotte punitive poste in essere dal personale in occasioni di comportamenti insubordinati.
La contenzione meccanica assume spesso le connotazioni di una vera e propria pena corporale, degradante quanto inumana, inflitta arbitrariamente ad una persona cui nulla può addebitarsi se non la fragilità ed il bisogno di cure. Essa è vietata non solo dalla Costituzione ma anche dal codice penale.
Ciò nonostante la sua pratica non è in diminuzione ed anzi, vuoi per la dominanza culturale delle esigenze di contenimento della spesa e di riduzione del personale vuoi per una complessivamente diminuita sensibilità nei confronti del problema da parte degli operatori, sempre più tende ad opacizzarsi la percezione del suo contenuto antigiuridico.
Per questa ragione l’ufficio intende impegnarsi in attività concrete di contrasto al fenomeno ed anche, sul fronte della repressione, provvedendo a costituirsi parte civile nei processi penali per maltrattamenti e abusi nei confronti di soggetti disabili.
Rinviando per un approfondimento alla lettura del testo della Relazione che potrete aprire con l’apposito link, Vi invio i miei migliori saluti e quelli dei Collaboratori tutti dell’Ufficio.
Torino, 14 marzo 2016
Il Difensore Civico
Avv Augusto Fierro
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