Consiglio Regionale del Piemonte

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Liliana Segre bambina ad Auschwitz

Il pomeriggio del 13 febbraio l’Aula Magna dell'Università alla Cavallerizza era gremita di studenti delle scuole superiori: hanno ascoltato in silenzio (spesso con gli occhi lucidi) un'ora e mezza di parole ininterrotte di Liliana Segre. Il racconto, semplice diretto e lucido, di un anno e mezzo della sua vita di ragazzina tredicenne nel campo femminile di Auschwitz-Birkenau. 

L'incontro faceva parte delle iniziative per il Giorno della memoria ed è stato organizzato dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale, in collaborazione con il Museo diffuso della Resistenza e l'Università. Sono intervenuti: Guido Vaglio, direttore del Museo della Resistenza ed Ermanno Tedeschi curatore della mostra "Ricordi futuri 2.0" (esposta al Museo diffuso della Resistenza fino al 9 marzo).

Nino Boeti, vicepresidente del Consiglio regionale, ha portato il saluto istituzionale: "Siamo riconoscenti alla signora Liliana che ha accettato il nostro invito per raccontare ai ragazzi di oggi che cosa ha voluto dire per lei essere una ragazza ebrea in Italia negli anni '40". 

Liliana Segre, oggi nonna di 86 anni, è nata a Milano il 10 settembre 1930. E' una dei 25 sopravvissuti dei 776 bambini italiani di età inferiore ai quattordici anni, deportati ad Auschwitz, il campo di sterminio nazista in cui trovarono la morte suo padre e i nonni paterni.

Il 30 gennaio 1944, a 13 anni, con il padre Alberto, Liliana venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau in Polonia, luogo che raggiunse dopo sette giorni di viaggio angosciante. "Continuavo a chiedermi 'perchè' - ha raccontato - non riuscivo a capire per quale motivo proprio io, che ero sempre vissuta circondata dall'amore della mia famiglia, di colpo ero diventata colpevole fino al punto di essere espulsa dalla mia scuola, incarcerata e caricata su un treno che andava verso una destinazione sconosciuta. Nella completa indifferenza di tutti coloro che ci hanno visti arrestare, incarcerare e deportare".

Liliana venne subito separata dal padre, morto ad Auschwitz il 27 aprile 1944. Nel giugno del 1944 anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo (Como) il 18 maggio 1944, furono deportati e uccisi al loro arrivo ad Auschwitz, il 30 giugno.

Liliana ad Auschwitz diventò subito la matricola 75190, il numero che le tatuarono perfettamente sul braccio. Fu avviata al lavoro forzato nella fabbrica di munizioni Union (che apparteneva alla Siemens), e svolse quel lavoro per circa un anno, evitando così la morte. Alla fine di gennaio del 1945 affrontò la ‘marcia della morte’ verso il nord della Germania, dopo la liberazione del campo di Auschiwitz. Liliana Segre venne liberata il 1° maggio 1945 a Malchow, un sottocampo di Ravensbruk, vicino a Berlino. Aveva 15 anni.

Per molti anni dopo la liberazione e il ritorno a casa non ha voluto parlare pubblicamente della sua terribile esperienza. All’inizio degli anni ’90, diventata nonna, ha deciso di uscire dal suo quarantennale silenzio e di testimoniare quello che aveva vissuto. Da allora Liliana Segre ha incontrato migliaia di studenti in Italia e all'estero e a loro ha raccontato la sue sensazioni di bambina in un mondo di adulti in guerra.

Alla fine del suo racconto, nell'Aula magna dell'Università più di 400 ragazzi si sono alzati in piedi per applaudire alle parole di pace di Liliana Segre che, al momento della disfatta del lager, pur trovando una pistola a portata di mano, decise di non sparare a colui che era stato per più di un anno il suo terribile aguzzino.