Gentili iscritte ed iscritti al servizio di newsletter del Difensore Civico,
A conclusione di un iter inevitabilmente contrastato in ragione della complessità della materia, il Parlamento ha approvato in via definitiva la nuova disciplina della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, affiancando ad essa disposizioni volte a prevenire il c.d. rischio clinico. Allo sforzo di soddisfare l’esigenza di individuazione di nuove regole per governare un contenzioso in crescita esponenziale, causativo di un’assai costosa espansione del fenomeno della c.d. “medicina difensiva”, si è aggiunto quello, altrettanto condivisibile, di realizzare strumenti di contrasto alle disfunzioni del sistema sanitario ed ai pericoli che da esse possono derivare agli utenti.
Con riferimento al tema della sicurezza delle cure l’articolo 1 della Legge 24, pubblicata l’otto marzo scorso, fa proprie, nella buona sostanza, i suggerimenti contenuti in due atti del Consiglio d’Europa, formulati nel 2009 e nel 2014, aventi ad oggetto la sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria.
E’ noto che il trattamento medico ed il ricovero nosocomiale, pur se finalizzati alla guarigione dei pazienti, possono invece (in una percentuale stimata dall’OMS all’incirca nel 10% dei casi) cagionare conseguenze negative od infezioni contratte nell’ambiente destinato alla cura. Tali evenienze costituiscono i c.d. eventi avversi, vale a dire gli “incidenti con conseguenze negative per il paziente” (la definizione è contenuta nella Raccomandazione Consiglio d’Europa del 9 giugno 2009). Essi devono essere contrastati, nelle intenzioni del legislatore, affidandosi non solo all’incremento delle competenze dei singoli operatori ma intervenendo sull’organizzazione nel suo complesso, dunque anche sugli aspetti organizzativi, tecnologici o strutturali del sistema. Ciò perché, come suggerito dai teorici dell’approccio sistemico alla sicurezza[1], gli errori dei singoli sono, non infrequentemente, conseguenti a fattori sistemici e dunque l’errore deve essere indagato anche comprendendo i meccanismi mentali e organizzativi che lo producono; residuando in capo alla giurisdizione il compito di accertare le responsabilità individuali.
Sulla scorta di questa impostazione già dal 2008 è stato istituito, presso l’Agenzia Nazionale dei Servizi Sanitari Regionali, l’Osservatorio Buone Pratiche per la Sicurezza dei Pazienti con il compito di individuare, raccogliere e rendere condivisi gli interventi di miglioramento in tema di sicurezza delle cure attuati dalle Regioni, da Organizzazioni sanitarie e da Professionisti.
Con l’articolo 3 le funzioni dell’Osservatorio (in cui confluiscono anche quelle dell’Osservatorio Nazionale sinistri e polizze assicurative) vengono ampliate e ad esse si aggiungono quelle di raccogliere i dati regionali relativi ai rischi ed agli eventi avversi e di individuare linee di indirizzo e misure per la prevenzione e gestione del rischio sanitario (utilizzando l’espressione rischio sanitario il legislatore ha verosimilmente voluto far riferimento non solo al rischio derivante da attività cliniche ma anche a quello complessivamente derivante dalle attività sanitarie, in primis al rischio di infezioni in occasione dei ricoveri ospedalieri).
I dati saranno raccolti dai Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente istituiti in ogni regione che, sulla scorta delle previsioni della Legge 208/15, hanno il compito di coordinare le attività di gestione del rischio sanitario in ciascun territorio regionale, a garanzia dell’equità ed omogeneità dei livelli di qualità e sicurezza delle prestazioni erogate.
Del tutto condivisibile, dunque, un primo commento, a caldo, sulle potenzialità della nuova normativa: “In questo modo si chiude il cerchio. Grazie ai dati raccolti per l’identificazione del rischio e delle pratiche per la sicurezza condivise dalle Regioni, è possibile lavorare per fornire indicazioni sulle strategie di anticipazione del rischio che non potranno più essere solo delle raccomandazioni generiche ma dovranno diventare, grazie anche alla partecipazione strutturata e sistematica di società scientifiche e associazioni tecnico scientifiche delle professioni sanitarie, strumenti concreti per orientare i comportamenti e l’organizzazione dei percorsi nei diversi contesti.” [2]
Nel novero delle disposizioni introdotte dalla Legge 24 l’articolo 2, nel rispetto dell’autonomia delle Regioni, ha previsto che esse possano attribuire ai Difensori civici regionali una nuova funzione, quella di “Garante della salute”.
Da un punto di vista meramente lessicale si tratta di una novità ma, sia nella nostra Regione (Legge 47/1985) che in altre, le competenze della Difesa civica erano già state estese agli ambiti delle strutture amministrative del Servizio sanitario, tanto che, statistiche alla mano, le richieste di intervento pervenute a questo Ufficio nella materia sanitaria sopravanzano nettamente quelle aventi ad oggetto altre materie.
Doveroso dunque domandarsi se la riforma, per quanto riguarda i compiti del Difensore civico, potrà aggiungere, almeno per quanto riguarda il Piemonte, un quid novi anche sotto un profilo di sostanza.
Tenuto conto della latitudine della previsione formulata dalla Legge 24 molto dipenderà, ovviamente, dalle scelte che il Consiglio regionale riterrà di operare. Già da ora, volendo abbozzare una prima risposta sulla scorta di ciò che prevede l’articolato appena approvato, si può segnalare che la lettura del titolo dell’articolo 2 (attribuzione della funzione di garante . . . e istituzione dei Centri regionali per la gestione del rischio) suggerisce l’idea che il legislatore abbia inteso collocare la funzione della difesa civica nello stesso ambito dei centri di gestione del rischio, dunque in una dimensione di contrasto alle disfunzioni del sistema sanitario.
Ad esplicita conferma di questa impressione si pone il dato letterale contenuto nell’articolato (comma 2, articolo 2): al Difensore civico i cittadini possono rivolgersi “per la segnalazione di disfunzioni del sistema dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria”, con ciò superando la nozione, formalmente più restrittiva, contenuta nella legge 47/85 della nostra Regione che si riferiva alle sole “strutture amministrative” della sanità.
Con la riforma ora approvata il legislatore nazionale sembrerebbe dunque aver voluto delineare una sfera di intervento del Garante della salute a tutela di un interesse collettivo alla qualità, alla efficienza, ed al buon funzionamento dei servizi erogati dal sistema sanitario: un controllo non solo dell’attività posta in essere dall’amministrazione regionale in materia di sanità ma anche esteso a ciò che accade (o non accade) nella quotidiana erogazione dei servizi ai cittadini. Costoro, nelle Regioni che opteranno per l’attribuzione all’Ombudsman della funzione di garante della salute, dovrebbero infatti potersi a lui rivolgere sia per prospettare una problematica di carattere generale, sia per richiedere un intervento dell’Ufficio volto alla tutela di un proprio “diritto leso” (articolo 2, comma 3)
Potrebbe la richiesta di intervento riguardare un’ipotesi di risarcimento di un danno ascrivibile ad una responsabilità professionale oppure diritti ed interessi tutelabili dal Garante dovranno avere indole esclusivamente pubblicistica?
Pare a chi scrive, difformemente da quanto sostenuto in altro commento[3], che, essendo la trattazione della responsabilità, sia aquiliana che contrattuale, affidata alla giurisdizione ordinaria, non possano che rimanere estranee alla sfera di intervento del Difensore civico le questioni aventi ad oggetto la materia del risarcimento del danno. Né sarebbe appropriato affidare ai Garanti della salute un intervento di prevenzione del contenzioso, essendo tale compito esplicitamente affidato dall’ articolo 8 agli strumenti del procedimento di mediazione o del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Toccherà ora ai Consigli regionali il compito di riempire di contenuti la funzione di “Garante della salute” che dal legislatore nazionale è stata disciplinata in termini generali e che dovrà invece essere oggetto di una disciplina di maggior dettaglio, il più possibile omogenea nell’intero territorio nazionale.
In essa potrebbe prevedersi che oggetto dell’intervento dei Difensori civici possano essere non solo gli “atti o comportamenti con i quali si nega o si limita la fruibilità delle prestazioni di assistenza sanitaria” (articolo 14, comma 5, Decreto Legislativo 502/92) ma anche tutte le violazioni della dignità del cittadino utente in occasione della fruizione di prestazioni sanitarie (si pensi, ad esempio, all’abuso di strumenti di contenzione al di fuori delle ipotesi di stato di necessità disciplinate dal codice penale od alle condizioni di funzionamento delle strutture di pronto soccorso a volte lesive del decoro e della riservatezza degli utenti.) Ed ancora la vigilanza sul rispetto della effettività dei livelli essenziali di assistenza.
Una impostazione, questa, tratteggiata dalla Regione Calabria con le disposizioni introdotte dalla legge 22 del 2008 che aveva istituito l’Ufficio del Garante della salute, prevedendo di affidargli il compito di “vigilare sul rispetto della personalità e della dignità del cittadino in rapporto alla fruizione dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria” e di “tutelare la funzionalità e l’efficacia nell’erogazione delle prestazioni, le condizioni materiali e organizzative delle strutture e dei presidi sanitari” ma che poi, per quanto consta, non ha trovato concreta applicazione.
Conclusivamente: cosa suggerire al Consiglio regionale del Piemonte nell’ipotesi in cui, nel confermare quanto già previsto dalla Legge 47/85, ritenga di ulteriormente ampliare la sfera dell’intervento dell’Ombudsman affidandogli una facoltà di controllo avente ad oggetto la funzionalità, l’organizzazione, l’appropriatezza delle strutture e dei presidi sanitari e socio sanitari, delle regole che ad esse vengono dedicate, dei controlli ispettivi, e di tutto ciò che abbia a che fare con l’erogazione delle prestazioni per la salute ?
Si tratta, all’evidenza, di ambiti di intervento vastissimi, la cui trattazione esige complesse competenze sia di carattere medico che amministrativo. La riforma, ancora una volta, impone l’invarianza finanziaria (articolo 18): si potrebbe dunque utilizzare l’esistente, mettendo a disposizione dell’Ufficio del Difensore civico, sotto forma di consulenza, i saperi e l’esperienza di Dirigenti medici ed amministrativi delle ASL, delle Aziende Ospedaliere, degli Assessorati competenti. A garanzia della indispensabile indipendenza delle valutazioni operate dai soggetti chiamati ad una siffatta collaborazione potrebbe prevedersi a loro carico l’obbligo di rendere la consulenza in sintonia con i principi deontologici che disciplinano l’attività dell’Ufficio del Difensore civico e di impegnarsi a rimanere immuni da ogni condizionamento potenzialmente proveniente dalle strutture di appartenenza.
Così pure si potrebbe prevedere di proseguire un’esperienza già avviata da chi scrive[4], utilizzando le consulenze di Docenti e Professionisti fiduciariamente scelti dall’Ombdusman che, mettendo a disposizione a titolo gratuito il proprio sapere, intendano manifestare condivisione di intenti con le finalità dell’istituto della difesa civica.
Con l’occasione Vi invio i miei migliori saluti e quelli dei Collaboratori dell’Ufficio
Il Difensore civico
Avv Augusto Fierro
[1] Per un cenno ai fondamenti della teoria sistemica si veda R.Tartaglia, Sara Albolino e Michela Tanzini, Commento all’articolo 1, in Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Quotidiano Sanità Edizioni, 2017
[2] R.Tartaglia, Sara Albolino e Michela Tanzini, Commento all’articolo 2, in Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Quotidiano Sanità Edizioni, 2017
[3] Vittorio Gasparini, Il difensore civico quale Garante per la salute, in Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Quotidiano Sanità Edizioni, 2017
[4] Se ne è dato atto nella relazione per l’anno 2016 a pagina 192