Guida per la tutela della riservatezza del minore

Diritto alla riservatezza e integrità psicologica

Il riconoscimento del diritto alla riservatezza per ciascuna persona costituisce un importante indice del grado di civiltà di una cultura. Il rispetto di tale diritto rappresenta anche una delle molteplici vie attraverso cui passa la tutela del benessere psicologico degli individui, come pure quella di una corretta evoluzione della personalità. Infatti per un soggetto in età evolutiva la violazione di tale diritto può comportare rischi molto consistenti per il sano svolgimento dei processi di crescita psicologica: può venire leso in modo più o meno grave, a seconda dell’età del minore, il fondamento stesso della integrità psicologica.
Essere e sentirsi riconosciuto come individuo portatore di una soggettività interiore unica, degna di essere rispettata in quanto valore intrinseco, costituisce nel percorso evolutivo di ciascun essere umano una esperienza relazionale fondamentale, proprio nel senso di rappresentare il fondamento della identità soggettiva, dell’autostima, del rispetto di sé e dell’Altro. Solidi confini di Sé possono essere strutturati soltanto se gli adulti, dai caregiver primari fino alle successive figure di riferimento, si relazionano con il bambino senza essere intrusivi, senza usarlo come un oggetto, ma viceversa rispettandolo come soggetto di diritti.
Un minore coinvolto in fatti di cronaca, e/o in qualsiasi altra forma di comunicazione mediatica, sia come soggetto attivo sia come vittima passiva, si trova spesso a vivere una doppia violenza: quella insita nell’esperienza reale vissuta, e quella rappresentata dalla intrusione dei mezzi di informazione nella sua vita privata, talora negli aspetti più intimi e riposti.
A qualsiasi età, tanto più quando l’identità personale è ancora in fieri, abbozzata e fluida, diventare protagonisti di un evento mediatico può assumere una valenza devastante, sotto il profilo psicologico, perché inevitabilmente ci si trova espropriati, in misura più o meno grande, della propria soggettività, e trasformati in oggetti dello sguardo, del giudizio, delle identificazioni, delle fantasie del pubblico. I confini della persona diventano improvvisamente labili, permeabili, perché tutti si sentono autorizzati a travalicarli, per trasformarla in un personaggio, che incarni uno dei tanti miti collettivi di una cultura. L’unicità del singolo si perde nella omogeneità della categoria.
Talvolta anche gli “esperti”, e fra questi taluni psicologi, nel tentativo di rendere comprensibili al grande pubblico eventi che talora sembrano oltrepassare di molto i limiti della comprensione razionale, possono contribuire al processo di de-soggettivazione che umilia l’individuo. Ciò accade ogniqualvolta non sia pienamente rispettato l’obbligo deontologico di non esprimere mai valutazioni psicologiche sulle persone, al di fuori di contesti professionali, e senza averne conoscenza diretta. In questi casi, la profondità e complessità della dimensione psicologica – spesso troppo inquietanti e angosciose – sono addomesticate proponendo chiavi di lettura banalizzanti e generiche, interpretazioni pseudo-scientifiche, che veicolano una immagine distorta sia delle vicende umane in gioco, e dei loro protagonisti, sia della scienza psicologica.
Nel caso di minori, la cui personalità è in fase di costruzione, ritrovarsi oggetto di giudizi psicologici non scientificamente fondati può rivelarsi altamente lesivo, sia perché il minore può ricavarne e interiorizzare un’immagine inadeguata di sé, sia perché può sviluppare una sfiducia nei professionisti della psiche, e di conseguenza rifiutarne l’eventuale aiuto.
Sul versante dei minori fruitori della informazione, un eccesso di spettacolarizzazione di eventi reali rischia di ostacolare l’acquisizione della capacità di discriminare fra realtà e fantasia, fra informazioni corrette e attendibili da un lato, e affascinanti ricostruzioni romanzate dall’altro. Qualora tali eventi coinvolgano altri minori, si rischia anche di favorire la identificazione con “eroi” fittizi di una bella fiaba o di un film dell’orrore, ovvero nel privilegiare la valorizzazione narcisistica malsana che scaturisce dal porre l’accento sulla esteriorità del personaggio anziché sulla interiorità della persona, sulla forma in sé, non intesa come espressione e stratificazione della sostanza.
La tutela dei diritti dell’infanzia è certamente una responsabilità civile di tutti gli adulti: i professionisti dell’area sanitaria, psico-sociale, giuridica, dell’informazione ne sono investiti in modo particolare, poiché gli imperativi dell’etica professionale vanno a sommarsi a quelli personali. La collaborazione interprofessionale, in un contesto di valori etici condivisi, si rivela indispensabile per fare in modo che gli adulti di domani sappiano essere autori e protagonisti, consapevoli e responsabili della storia, se non di quella con la S maiuscola almeno della propria, e non soltanto personaggi di storie.

Laura Recrosio
Presidente Ordine degli Psicologi del Piemonte



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