Europa, migranti, frontiere - page 69

Europa, migranti, frontiere. Diritti fondamentali e accoglienza dei profughi nell’Unione europea
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Se il controllo delle frontiere è regolato dal TFUE (oltre che da una serie di altri dispositivi come
il Codice Schenghen, il Regolamento Eurosur e l’Agenzia Frontex), il diritto d’asilo fa invece capo al
Regolamento di Dublino III (2013) che prevede sia lo Stato di primo approdo a prendere in carico
l’esame della domanda d’asilo, l’accoglienza e la tutela umanitaria del migrante. In seguito alle
pressioni migratorie degli ultimi anni, questo principio ha generato una situazione di forte squilibrio
in seno all’Ue, giacché vede ricadere sugli Stati, sui Comuni e sulle comunità più prossimi agli arrivi
gran parte dell’accoglienza dei migranti in fuga. Il piano di ridistribuzione dei profughi tra tutti gli
Stati Ue, elaborato dalla Commissione europea con la
European Agenda on Migration
del maggio
2015, ha incontrato forti resistenze da parte di molti Paesi del nord e dell’est Europa. Questa
riluttanza si è acuita nei mesi immediatamente successivi, in concomitanza con l’incremento dei
flussi e l’apertura di nuove
rotte
di attraversamento, come quella balcanica, percorsa, in larga
parte, da gruppi di siriani in fuga. Da giugno 2015 sino ad oggi, in rapida successione, Ungheria, Gran
Bretagna, Estonia e Macedonia hanno proceduto alla costruzione di vere e proprie barriere o
muri
ai
loro confini, in modo da impedire materialmente ai profughi qualsiasi possibilità di accesso ai propri
territori. Tra settembre 2015 e febbraio 2016, Austria, Ungheria, Slovenia, Danimarca, Svezia e
Norvegia hanno ripristinato più volte i controlli alle frontiere interne, avvalendosi di quanto previsto
in via eccezionale dall’art. 78 del TFUE. Nel giugno 2015, l’Ungheria ha unilateralmente scelto di
sospendere il Regolamento di Dublino,
ricevendo indietro
(di fatto, respingendo) i richiedenti asilo
che premevano alla frontiera serbo-ungherese. L’insieme di questi provvedimenti, adottati in nome
di
istanze securitarie nazionali
, ha notevolmente aggravato le condizioni delle masse di profughi
approdati in Europa, costretti a deviare continuamente i loro percorsi per sfuggire ai controlli e ai
possibili arresti di alcune polizie nazionali. Contemporaneamente, nei territori limitrofi alle frontiere
bloccate sono sorti veri e propri campi-profughi (emblematico, ma non unico, è quello di Idomeni,
nel nord della Grecia), con forti concentrazioni di persone e condizioni di grave emergenza
umanitaria. In difficoltà nel trovare una risposta unitaria capace di salvaguardare salvezza dei
profughi e diritti fondamentali, tra il 2015 e il 2016 l’Ue ha ripercorso strade già battute nella
politica estera, stabilendo controversi accordi con Paesi come l’Etiopia e la Turchia per il
contenimento delle partenze dei migranti.
Le dispersioni umane lungo le vie di fuga, la fatica dell’Ue nel trovare una risposta efficace e
unitaria al fenomeno, i blocchi alle frontiere e le refrattarietà di alcuni Stati verso l’asilo,
compongono quella che si chiama crisi europea dei profughi. Parte integrante della più estesa
crisi
globale dei profughi
, essa si caratterizza, nei fatti, per l’oltraggio che alcuni Stati stanno compiendo
ai diritti fondamentali della persona: ovvero, a quegli stessi principi sui quali l’intero progetto civile
e politico dell’Ue ha inteso fondarsi con la
Carta dei diritti fondamentali dell’Ue
(2001). Insieme alla
vita e alla dignità di donne e uomini in cerca di salvezza, nella crisi europea dei profughi ne sta
andando della sostanza stessa del processo di integrazione europea, il quale, giova ricordarlo, è nato
all’indomani della seconda guerra mondiale come progetto volto a garantire pace e diritti in senso
universale alle persone.
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