Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
di quanto più lungo sia il loro percorso rispetto all’attraversamento dell’ultimo
braccio di mare o dell’ultima frontiera di terra. Queste maggiori conoscenze e
consapevolezze dovrebbero indurci ad allargare, coerentemente, anche la nostra
intelligenza di che cosa sia e da dove e quando debba iniziare “l’approccio basato
sui diritti” e spingerci a comprendere quali domande ci pongano e quali politiche
europee siano chiamate in causa.
In grandissima maggioranza le persone che affrontano la sfida della
migrazione non scelgono liberamente di lasciare le loro case e i loro paesi, sono
invece costrette a una decisione carica di rischi e di sofferenza: costrette dalla
guerra, dalla fame, dalla devastazione dell’ambiente. Violazioni radicali dei loro
diritti umani non intervengono solo durante il percorso: precedono invece la
decisione e ne sono alla base. Donne, uomini, bambine e bambini partono perché
sono a rischio le loro vite e la loro integrità fisica; perché il pericolo di essere
ingiustamente privati della libertà e di subire tortura e trattamenti inumani è
attuale e tragicamente quotidiano; perché è cancellato nei fatti il diritto alla tutela
della loro salute. Spesso alla radice di così vasti e profondi abusi è la negazione di
libertà fondamentali: la libertà di professare e praticare una religione, di avere ed
esprimere opinioni politiche o d’altro genere, ad esempio. Oppure l’assenza di
tutele contro discriminazioni e odi fondati sul genere o sull’appartenenza etnica,
sull’orientamento sessuale o su caratteristiche genetiche. Per non dire, come è
tragica cronaca d’ogni giorno, del diritto dei minori e delle donne a ricevere la
migliore istruzione possibile. Si può essere costretti a scegliere tra morte e fuga
perché si è cristiani o musulmani; perché si va a scuola o si è albini; perché,
semplicemente, si è donne o bambine.
Neppure fuggire è facile. Occorre innanzitutto uscire dal paese in cui ci si
trova e questo significa spesso dover affrontare due problemi diversi ma
interagenti: attraversare la frontiera e avere il denaro necessario per il viaggio. È
facilmente intuibile che chi fugge perché a rischio di vita o perseguitato non possa
semplicemente ottenere un passaporto e presentarsi a un valico; ma anche chi
espatria per ragioni economiche o d’altro genere è soggetto all’arbitrio di chi
controlla le frontiere o rilascia documenti e visti – e la traduzione pratica è la
necessità di ricorrere alla corruzione, cioè a pagare per esercitare un diritto, quello
di lasciare qualsiasi paese, che è riconosciuto a ogni essere umano ma assai
difficilmente esigibile. L’altra via è uscire “illegalmente”; e in questo caso aumenta
la difficoltà di procurarsi il denaro necessario al viaggio, poiché il traffico o il
contrabbando di esseri umani seguono le leggi di mercato: maggiori le difficoltà e i
rischi, maggiori i prezzi. La combinazione di questi (e altri) fattori risulta in
ulteriori abusi contro i diritti fondamentali: le persone costrette ad abbandonare i
loro paesi sono costrette anche ad abbandonare i loro beni, pochi o tanti, e le loro
famiglie e affidarsi a reti criminali, e non fa differenza se siano composte di
pubblici ufficiali, di meri trafficanti o, caso più frequente, di appartenenti ad
entrambi gli ambienti. Reti criminali che non esitano a rinchiudere gli aspiranti
migranti in autentiche prigioni né a ricorrere ad abusi fisici, dalle percosse allo
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