Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
stupro, in cambio della speranza di fuga. Gli stessi abusi, lo sappiamo, si ripetono
durante l’intero percorso, lunghissimo e incerto, fino alle frontiere europee.
Quando e se i migranti raggiungano l’ultima tappa, prima del viaggio finale
per mare o via terra, i loro diritti fondamentali affrontano ancora gli stessi rischi.
Una parte importante della politica eufemisticamente definita dall’UE e dai suoi
Stati membri come “gestione” dei flussi migratori e cooperazione con i paesi di
provenienza o di transito è costituita semplicemente dalla richiesta pressante e
perfino ricattatoria a quei paesi di impedire, o almeno limitare, le partenze; attività
peraltro attivamente svolta anche direttamente da paesi europei, Italia inclusa,
attraverso le varie forme di pattugliamento congiunto delle frontiere sia di mare
che di terra. C’è qui un nodo essenziale e mai risolto: la Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani, che tutti i paesi europei hanno sottoscritto, riconosce all’Art. 13
che “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”.
Formulazione che ha dato vita ad un ampio dibattito nei decenni trascorsi ma che
non lascia dubbi su un punto: il diritto degli Stati a decidere chi possa o non possa
entrare nel loro territorio non può mutarsi nel diritto di alcuno Stato a impedire
l’uscita da un Paese. In pratica, si riproducono qui per i migranti le stesse difficoltà
affrontate e gli stessi inaccettabili “rimedi” disponibili al momento della prima
partenza.
L’ultima tappa del viaggio è, almeno per quanto riguarda l’Italia, forse la
meglio conosciuta: sono i barconi che dalle coste della Libia e della Tunisia si
dirigono verso le coste e le isole di Sicilia, Calabria, Puglia, talora Sardegna. Il
rischio a cui sono qui esposti i diritti fondamentali sono fin troppo noti, dal diritto
alla vita al diritto all’asilo, pur se ridottosi negli ultimi anni, con l’abbandono della
nefasta politica dei respingimenti in mare. È però opportuno ricordare che quei
rischi non scompaiono quando finalmente le persone raggiungono il suolo europeo
in Italia, Francia, Spagna, Grecia o Polonia e Germania. La cosiddetta detenzione
amministrativa nei CIE o simili istituzioni, i limiti ai ricongiungimenti famigliari e
all’accesso ai sistemi sanitari e di assicurazione sociale, al lavoro, all’istruzione, le
discriminazioni: libertà e diritti fondamentali incontrano abusi significativi, diffusi
e perfino legalizzati anche all’interno dell’Unione “fondata sul primato della legge e
il rispetto dei Diritti umani”.
Tutto questo ci dice che la visione delle politiche di e sull’immigrazione
dell’Unione europea non può fossilizzarsi sulla contrapposizione tra buonismi
presunti e cattivismi proclamati e il concetto di “approccio basato sui diritti” non
può rassegnarsi alla miopia della pur necessaria e urgente tutela dei diritti
fondamentali dei migranti all’interno dell’Ue. Occorre invece allargare lo sguardo
da un lato alle ragioni profonde, economico-sociali, politiche, ambientali e culturali
in cui si radicano le spinte alla migrazione e dall’altro alla esigenza non solo morale
ma politica e financo economica di proteggere i diritti fondamentali lungo tutto il
percorso migratorio, sottraendolo agli arbitri dei poteri e all’affarismo dei
criminali. Per farlo è necessario che l’Unione europea trovi e dimostri una
maggiore coerenza tra dimensione interna e dimensione esterna nella promozione
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