Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Il secondo problema è la questione israelo-palestinese, problema aperto dai
tempi del consolidamento delle prime colonie ebraiche in Palestina tra le due
guerre mondiali e diventato poi acuto dopo la costituzione dello Stato di Israele nel
1948 e la guerra arabo-israeliana che ne seguì. Gli eventi bellici provocarono la
fuga di centinaia di migliaia di arabi palestinesi poi diventati profughi permanenti
nei vicini paesi arabi e le guerre successive hanno solo peggiorato i rapporti tra le
due comunità. I palestinesi hanno attivato forme di terrorismo nei confronti di
Israele, che continuano ancora oggi, certamente alimentate dalle forme di
oppressione israeliana subite (occupazione della Cisgiordania dal 1967,
ampliamento degli insediamenti nei territori occupati, blocco della striscia di Gaza,
sfruttamento della mano d’opera palestinese). I governi israeliani, si sono sempre
opposti, ai fini della propria sicurezza, alla nascita di uno Stato palestinese
(previsto dalla risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del
1947) ed hanno sempre cercato di indebolire con l’aiuto degli Stati Uniti sia il
panarabismo laico espresso dall’Egitto (nasserismo), sia quello espresso in Siria e
Iraq (il movimento
Ba’at
). Il fallimento dei movimenti laici della rinascita araba,
stritolati poi nel gioco dell’equilibrio bipolare, ha aperto la strada alla diffusione
nel mondo islamico dell’intransigenza religiosa che assume anche l’aspetto politico
della rivolta anti occidentale. Da anni, infine, Israele è impegnato a contrastare la
capacità nucleare in costruzione dell’Iran. Infatti, i suoi servizi segreti non sono
estranei a incursioni cibernetiche e all’eliminazione fisica di dirigenti iraniani del
programma nucleare. Oggi la possibile conclusione del negoziato sul nucleare
iraniano trova l’opposizione sia dell’attuale governo israeliano, sia delle
petromonarchie del Golfo.
Il terzo problema è dato dal declino dell’egemonia statunitense sull’area. Gli
Stati Uniti, protettori storici di Israele e delle petro-dinastie feudali della regione,
hanno mantenuto lo status quo e frustrato i tentativi di emancipazione dal
colonialismo per tutta la seconda metà del secolo scorso, vedi il caso del
rovesciamento del governo di Mossadeq in Iran negli anni cinquanta con il
ripristino sul trono dello Shah Reza Palhevi. Washington ha ereditato da Londra il
controllo delle risorse petrolifere del Medio Oriente che rappresenta una chiave
strategica di condizionamento dell’economia mondiale e di alimentazione dei
circuiti finanziari in dollari per i pagamenti delle forniture e per gli investimenti
delle rendite petrolifere. Oggi larghe fasce dell’opinione pubblica araba, dopo i
fallimenti politici statunitensi registrati in Afghanistan e in Iraq nel decennio
passato, considerano l’Occidente, Europa compresa, come il principale
responsabile di una situazione politico-sociale locale oggettivamente insostenibile.
Nel Nord Africa, l’intervento “umanitario” autorizzato dall’ONU di Francia e Gran
Bretagna in Libia con l’assistenza degli Stati Uniti e della Nato, compresa l’Italia, ha
scoperchiato il vaso delle contraddizioni del regime di Gheddafi e determinato
l’affermazione di una guerra civile tra bande armate che si sono propagate
nell’area Sahariana, in Mali. Il fondamentalismo ha trovato terreno fertile di
espansione date le condizioni di sottosviluppo, crescita demografica, assenza o
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