Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Questo quadro va completato con la considerazione delle pressioni
demografiche e politiche che si accumulano in Medio Oriente e in Africa e alle quali
occorre rispondere con le politiche di vicinato orientate alla stabilizzazione politica
ed economica delle rispettive regioni. Nel M.O., Egitto compreso, vive una
popolazione di 400 milioni, con una forte componente giovanile e profondi divari
economici, con migrazioni dai paesi più poveri verso i paesi produttori di petrolio,
con migrazioni verso l’Europa e con spostamenti interni verso la Turchia, il Libano
e la Giordania, causati da guerre, terrorismo, persecuzioni etniche e religiose.
L’Africa, afflitta da sottonutrizione, malattie e guerre interetniche, a sua volta, ha
1,1 miliardi di abitanti in rapida espansione al tasso di natalità superiore al 3%
annuo che ne comporta il raddoppio nel corso di una generazione.
3.
Le resistenze verso gli immigrati e l’evoluzione del sistema
produttivo
L’Europa è stata caratterizzata fino alla seconda metà del secolo scorso da
una molteplicità di popolazioni omogenee fortemente radicate sul territorio. Per
secoli la vita comunitaria ha plasmato usi, costumi, dialetti locali nei quali la
popolazione si riconosceva. Gli scambi commerciali, anche intensi nei secoli
passati, coinvolgevano solo una parte della popolazione urbana ma non alteravano
la vita contadina prevalente e, comunque, anche gli usi e costumi forestieri
penetravano lentamente nelle abitudini locali.
Solo nella seconda metà del secolo scorso le migrazioni infraeuropee hanno
assunto una consistenza rilevante nelle aree industriali dell’Europa centrale e nel
Nord Italia ma le resistenze e le reazioni popolari sono rimaste frenate. Sia nei
confronti degli immigrati da altri paesi che nel caso di migrazione interna (vedi
l’Italia). Il fenomeno si spiega con la fase di eccezionale crescita produttiva che si è
aperta nel dopoguerra e la moltiplicazione delle opportunità imprenditoriali e
occupazionali che hanno attratto nei centri urbani industrializzati milioni di
contadini e una volta esaurito il bacino di alimentazione regionale di prossimità è
stato necessario rivolgersi altrove. Nella lunga fase espansiva le resistenze
popolari sono state frenate dagli interessi dei settori produttivi, e anche dei
sindacati, perché in un contesto economico in piena crescita l’afflusso degli
immigrati manteneva fluido il mercato del lavoro, conteneva il costo del lavoro,
contribuendo così all’espansione economica. Essi andavano a occupare i lavori più
gravosi e meno retribuiti, comprese ovviamente le attività in nero, in genere
rifiutati dai lavoratori autoctoni. Questi a loro volta, potevano più agevolmente
accedere a corsi di riqualificazione e beneficiare dei miglioramenti nelle mansioni
e nelle carriere. Il mondo politico era quindi frenato nell’assumere posizioni
xenofobe, e anche quei movimenti spontanei che impugnavano la bandiera
populista contro l’immigrazione rimanevano emarginati. Inoltre, l’intervento delle
politiche europee (libera circolazione dei lavoratori, estensione delle tutele
sindacali agli immigrati comunitari, politiche strutturali, accordi di Schengen sulla
libera circolazione dei cittadini europei) ha offerto un quadro di tutele alle
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