Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Uniti a Timor Est, in Sierra Leone e nella Repubblica Centrafricana; del Canada
nella Repubblica Democratica del Congo e Haiti, ecc…). Si è trattato, però, sempre
di forme di cooperazione bilaterali, attuate da singoli Stati, oppure condotte da
Agenzie UN (in primis, UNDP)
1
, ma non da Unioni sovranazionali come l’UE o l’UA.
Con la Conferenza internazionale
A New Deal for Somalia
(Bruxelles, 2013)
2
,
l’UE ha individuato nella Somalia il primo Paese
fragile
in cui operare secondo i
parametri sottoscritti a Busan. Le ragioni alla base di questa individuazione sono
molteplici, riconducibili, innanzitutto, all’impegno della UE nel processo
costituente somalo in corso dal 2010 e alle strategie di stabilizzazione politica
dell’intero Corno d’Africa. Ma c’è dell’altro.
La Somalia è, infatti, uno dei maggiori paesi di provenienza dei tanti profughi
che attraversano il Mediterraneo per approdare in Europa e, al tempo stesso, uno
degli Stati in cui il terrorismo di matrice islamista ha mietuto (e miete) più vittime
tra la popolazione. Questi due fattori conferiscono al
framework
UE-Somalia
(ribadito, nel novembre 2014, a Copenaghen nell’
High Level Partnership Forum on
Somali
3
) un’importanza che va oltre la particolarità del caso e che potrebbe
costituire un nuovo paradigma da applicarsi sia nella dimensione
esterna
dei
fenomeni migratori (in particolare, dei profughi), che nelle prassi di cooperazione
UE.
Un paradigma innovativo che, tuttavia, fatica ad essere conosciuto e,
soprattutto, declinato nelle realtà particolari delle istituzioni nazionali e locali di
molti paesi europei – fra queste, l’Italia. A tutt’oggi, infatti, non è chiaro in che
modo e a quali organismi siano accessibili i fondi messi a disposizione per il
New
Deal
(le fonti ufficiali quantificano in 650.000.000 di € lo stanziamento UE per la
Somalia nel periodo 2014-2016, da intendersi come Fondi FED), né si comprende
bene a quali settori della cooperazione nazionale il
New Deal
possa afferire (se a
quella
bilaterale
e
multi-bilaterale
, o a quella
multilaterale
, o addirittura, a quella
decentrata
), né, ancora, a quali altre aree fragili del mondo si possa (e si debba)
estenderlo.
Nonostante ciò, il
New Deal for Fragile States
costituisce una sfida meritevole
di attenzione e di approfondimento, indubbiamente ancora tutta da combattere e
da vincere, ma non da abbandonare al primo ostacolo. Una sfida che, più di altre, ci
sembra offrire una via d’uscita all’immobilismo di politiche securitarie, incapaci di
rispondere in maniera strutturale e rispettose dei diritti ai drammi delle
migrazioni forzate. Una sfida che, se condivisa e sostenuta, darebbe alla
1
Per un quadro più complete sui programmi di cooperazione con I Paesi fragile, si veda:
ROOM
DOCUMENT 4: INCAF member efforts in support of New Deal implementation (for information). Third
meeting of the DAC International Network on Conflict and Fragility (INCAF) at Director Level OECD
Headquarters, Paris, 22 - 23 March 2012
(cso-effectiveness.org/IMG/pdf/rd04_incaf_member_
efforts_in_support_of_new_deal_implementation-2.pdf).
2
Communiqué A New Deal for Somalia
, Brussels Conference, 16 September 2013
(
conference/sites/default/files/somalia_new_deal_conference_communique.pdf ).
3
Communiqué
High
Level
Partnership
Forum
Copenhagen,
19-20
November
2014
(
)
65