Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana all’economia statunitense, hanno
dato il colpo di grazia alle residue possibilità di sviluppo economico originale ed
autonomo.
Crediamo che ciò illustri più di altre considerazioni, quale sia l’altra ragione
fondamentale che alimenta i flussi migratori. Stiamo parlando di paesi che sono, da
sempre, considerati il “cortile di casa” degli Stati Uniti d’America e che, grazie a
questo “privilegio”, sono usciti da sanguinosissime guerre civili solo tra la fine degli
anni ’70 e gli anni ’90 (in Guatemala gli accordi di pace definitivi risalgono
addirittura al dicembre del 1996).
Non è questa la sede per analizzare cosa sia cambiato dopo la fine delle
diverse guerre civili: basterà dire che, anche dove, dopo molti tentativi ed a
dispetto delle interferenze pesantissime degli Stati Uniti, i partiti progressisti eredi
delle formazioni guerrigliere hanno vinto le elezioni, hanno di fronte a sé paesi con
economie distrutte e/o completamente asservite alle grandi multinazionali
statunitensi, europee, giapponesi, società civili disgregate, criminalità organizzata
pervasiva e livelli di povertà in molte fasce di popolazione urbana e nella quasi
totalità della popolazione rurale insostenibili. Da questo punto di vista, nemmeno
la presidenza Obama ha rappresentato un cambio di rotta: di fronte al colpo di
stato del 2009 in Honduras, l’Amministrazione USA, dopo la deposizione del
legittimo presidente Zelaya, ha flebilmente protestato salvo poi riconoscere il
Presidente eletto l’anno successivo, dopo un periodo di interim del Presidente del
Congresso Micheletti, con un voto farsa sotto il controllo delle forze armate a cui ha
partecipato meno del 30% degli hondureñi. Ovviamente il fatto che Tegucigalpa si
avvii ad avere il triste primato di città più pericolosa del mondo e che la criminalità
organizzata domini incontrastata non deve disturbare il sonno dei dirigenti
americani. Un ultimo dato: le popolazioni indigene, che sono una minoranza
consistentissima ed in Guatemala la maggioranza della popolazione, sono da
sempre tenute fuori da qualunque possibilità di accedere agli organismi
rappresentativi, di incidere sulle decisioni (anche quando le riguardano
direttamente), di usufruire degli scarsissimi programmi di protezione sociale dei
rispettivi governi. In Guatemala gli oltre 200 mila morti accertati, i desaparecidos, i
più colpiti nelle condizioni minime di vita sono, in grande maggioranza, indigeni.
Più complessa la situazione per ciò che riguarda il Messico. I fattori sopra
descritti sono tutti presenti, con una pervasività della criminalità organizzata
ancora più profonda di quanto abbiamo fin qui analizzato. Possiamo, con una certa
approssimazione, sostenere che, in Messico, la criminalità si sta lentamente
“
facendo stato
“. Ma, poiché stiamo parlando di una potenza economica che si
colloca, per quanto riguarda il PIL, tra l’undicesimo ed il quattordicesimo posto a
seconda delle statistiche, i problemi sono, se possibile, ancora più complessi. A
questo proposito, può forse interessare cosa dice un rapporto del 2012 a cura di
Ambasciata d’Italia di Città del Messico, Desk Italia di Pricewaterhouse
Coopers (PwC), Ufficio ICE e Camera di Commercio Italiana in Messico: “
Con
oltre
116 milioni di abitanti
e un PIL di circa 867,4 miliardi di dollari, il Messico
82