Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
utilizzerebbero tutti gli strumenti tecnici ed investigativi disponibili e si creerebbe
un precedente di importanza straordinaria.
Dopo questa sommaria ricostruzione della situazione nel Mediterraneo,
attraversiamo l’Atlantico e proviamo a capire che cosa succede
al otro lado del
charco (dall’altra parte della pozzanghera).
Non potendo, qui, ricostruire la storia recente delle migrazioni verso gli USA
sin dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha visto un aumento esponenziale
dell’emigrazione messicana con alterne vicende e con atteggiamenti dei vari
governi statunitensi che oscillavano da una parziale tolleranza alla militarizzazione
rigidissima dei confini, ci limiteremo a cercare di capire quali sono stati gli aspetti
salienti della politica migratoria statunitense durante i due mandati di Obama.
La comunità di origine ispanica attualmente negli Stati Uniti è calcolabile in
circa 45 milioni di persone, inclusi quelli di seconda e terza generazione, che
salgono a 50 se si considerano i figli di coppie miste. Circa il 50% è di origine
messicana, il restante 50% arriva dall’America Centrale (Honduras, Salvador,
Guatemala soprattutto), dal Caribe (Cuba, Haiti, Repubblica Dominicana) e
dall’America Meridionale. Stiamo parlando, quindi, di quasi il 20% della
popolazione totale in costante aumento.
Si tratta di un bacino elettorale, anche considerando che i naturalizzati
americani sono circa il 50% del totale, di importanza strategica che ha
determinato, nelle ultime due tornate, l’elezione di Obama. In Stati strategici per
l’elezione presidenziale, come la California, il Texas, la Florida ed il Colorado (uno
dei cosiddetti
swing states
) lo spostamento del voto dei
latinos
nelle elezioni del
2008 dai repubblicani ai democratici è stato un fattore decisivo, così come è
successo, in maniera ancora più accentuata, nel 2012.
Prima di soffermarci brevemente sulle politiche migratorie degli USA durante
i due mandati di Obama, sarà bene dare qualche informazione sul fenomeno, le sue
origini, la sua composizione.
Il flusso di migranti verso la frontiera nord (Mex-USA) arriva,
prevalentemente, dal Messico (circa il 50% del totale) e dall’America Centrale. Gli
ultimi dati disponibili (2013) indicano una parziale contrazione dell’immigrazione
messicana ed un aumento costante di quella centroamericana (400 mila migranti
circa nel 2013). Gli analisti sostengono che la contrazione dell’immigrazione
messicana è determinata da un insieme di fattori: la crisi economica degli anni
scorsi in USA, che sembrerebbe, oggi, parzialmente superata secondo gli ultimi dati
sull’occupazione, la sempre più dura militarizzazione della frontiera nord con
conseguente aumento significativo dei pericoli per i migranti, la possibilità, per
alcuni dei migranti, di trovare lavoro, sottopagato e supersfruttato ma in grado di
garantire una qualche sopravvivenza, nei distretti industriali del nord del Messico
(distretti delle maquiladoras, industria estrattiva, servizi a bassa qualificazione).
Gli analisti sono concordi nel considerare questa diminuzione come temporanea e
contingente.
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