Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Secondo caso. Durante un colloquio in un ufficio dei servizi sociale, un utente
rifiuta il mediatore interculturale, poi lo accetta, ma a condizione che porti con sé il
libro santo della propria religione. Durante il colloquio, l’utente difende la sua
appartenenza religiosa, afferma che la sua aggressività con i figli è raccomandata
dal libro sacro e invita il mediatore interculturale a controllare la veridicità delle
sue parole. Senza rispondere alla sua richiesta esplicita, il mediatore interculturale
cerca di comprendere meglio che cosa egli intenda per “accanimento” degli
autoctoni (operatori, vicini di casa e anche volontari) contro la sua religione e, a un
certo punto, gli domanda se guarda la televisione del suo Paese attraverso
l’antenna parabolica e se è al corrente del cambiamento del codice di famiglia nel
suo Paese di origine e del discorso diffuso dalla televisione su questo tema. Dopo
avere ricevuto una risposta positiva, gli chiede che cosa ne pensa. L’utente, allora,
rivolge la sua rabbia anche contro quei “dirigenti del suo Paese”, che secondo lui,
sono anch’essi contro la religione... Dopo un momento di silenzio, il mediatore gli
dice: “
mi sembra che sei troppo solo e che tutti sono contro di te
(omettendo di
aggiungere “
oppure sei tu, che sei in controsenso
”). L’utente perde il suo
atteggiamento di “sfida” e comincia a piangere. Poi chiede scusa e inizia a
raccontare i suoi problemi economici e la sua incapacità a rispondere alle attese
della sua famiglia in Italia e nel Paese di origine; racconta anche del suo tentativo
di scappare dalla realtà con l’alcool e le droghe che ha peggiorato le cose.
Terzo caso. In seguito a una segnalazione al Tribunale per i Minorenni, un
bambino viene allontanamento dalla sua famiglia per violenza fisica sul suo corpo.
Nel primo colloquio con gli operatori del centro, i genitori cominciano a mostrare
bruciature simili a quelle inferte al figlio sui loro corpi. Il mediatore culturale ,
allora, spiega che anche lui porta bruciature simili dall'infanzia e che ci sono
professionisti che le praticano ancora oggi con regolare licenza delle autorità
sanitarie nel Paese di origine. Incoraggiati da questa spiegazione, i genitori
cominciano a raccontare la corrispondenza di ogni bruciatura con una delle fasi
della loro crescita e la loro importanza nel collocare l’individuo nel gruppo di
appartenenza.
Quarto caso. Nasce un conflitto tra alcuni operatori (neuropsichiatra
infantile, psicologa, educatrici e assistente sociale) e la madre di una giovane
inserita in comunità, in merito alla questione se quest’ultima debba o meno
praticare il rito di digiuno durante il
Ramadan
. Sembra, infatti, che la madre si sia
contraddetta: prima aveva dato il consenso per dispensare sua figlia
dall'osservazione del rito in seguito al consiglio di un medico per i probabili rischi
per la sua crescita, dato il suo stato di salute. Poi, ha raccontato che sua figlia ha
fatto il
Ramadan
(questo è stato capito dagli operatori traducendo il suo
atteggiamento aggressivo e accusatorio come un rimprovero perché avrebbero
impedito a sua figlia di fare il
Ramadan
). Il conflitto dura a lungo e gli operatori si
trovano obbligati a spostare gli incontri madre/figlia in un luogo neutro, poi a
dilazionarli periodicamente fino alla loro totale sospensione, a causa dello
spostamento della violenza della madre verso la figlia. Il mediatore interculturale
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