Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
numerico non sono una quota maggioritaria, né, sino ad ora, hanno incrementato
in modo significativo la popolazione straniera presente.
In generale bisogna ribadire che permangono due elementi strutturali: da un
lato molti paesi a forte pressione migratoria continuano ad avere una numerosa
popolazione giovane, disoccupata o sottoccupata, che subisce anche in patria i
colpi della crisi economica, complicata sovente da altri fattori di crisi politica,
sociale, ambientale. In secondo luogo la dinamica naturale della popolazione
italiana resta negativa: senza apporti esterni essa è destinata a diminuire nel
prevedibile futuro. Queste situazioni non innescano automaticamente flussi
migratori, ma certamente li favoriscono e richiederebbero comunque una efficace
azione di governo e di intervento.
Altro fenomeno che ha recentemente attirato l’attenzione è la ripresa
dell’emigrazione italiana. Il dato risulta in aumento negli ultimi anni (anche se le
emigrazioni non erano mai scomparse) e sarebbe maggiore se si conteggiassero
anche trasferimenti recenti e di breve periodo per i quali non ci si è iscritti
all’Anagrafe degli italiani residenti all'estero. Anche in questo caso va detto che i
numeri sono in crescita, ma restano relativamente contenuti: a livello piemontese
sono circa 9.000 i cancellati per l’estero nel 2013. Da più parti si sottolinea che la
mobilità dei lavoratori in Europa potrebbe e dovrebbe crescere ancora in futuro. Il
problema è piuttosto che questi emigrati hanno sovente competenze e capacità
elevate, che un loro reinserimento in Italia appare difficile e soprattutto che non
sembra realizzarsi un afflusso di lavoratori dell’Unione o di paesi terzi di pari
qualifica. O meglio, i lavorati immigrati hanno titoli di studio e competenze che non
sono adeguatamente utilizzate in Italia. In sostanza è più una perdita di risorse
umane che un arricchimento di esperienze in un nomale avvicendamento alla
ricerca delle collocazioni più convenienti e adeguate. Non vi è quindi una
concorrenza diretta fra lavoratori italiani e immigrati, dicono sinora le analisi del
mercato del lavoro.
In generale oggi è abbastanza chiaro cosa è successo al mercato del lavoro
italiano in riferimento al forte afflusso di lavoratori immigrati. Il sistema
produttivo italiano negli ultimi venti anni si è modernizzato in minor misura di
quello di altri paesi e ha mantenuto attività ad alta intensità di lavoro, a bassa
produttività e tecnologicamente poco avanzate – non di rado nell’economia
informale o in nero – che hanno richiesto e inserito molti lavoratori immigrati.
Quando è iniziata la crisi, molte imprese, a partire dall’edilizia e dall’industria
manifatturiera, non hanno retto e hanno quindi espulso i lavoratori, compresi gli
stranieri che sembravano aver trovato un buon inserimento nel mercato del
lavoro. In parallelo il sistema assistenziale italiano ha largamente utilizzato il
lavoro di collaboratrici familiari e assistenti domiciliari per affrontare le necessità
degli anziani e delle famiglie. Questo segmento di mercato del lavoro ha attratto e
inserito molte donne immigrate, reggendo meglio alla crisi, ma provocando
comunque un peggioramento delle condizioni di lavoro e di remunerazione.
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