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Per una politica europea di asilo, accoglienza e immigrazione
Il Sindaco Giusi Nicolini ha affermato che Lampedusa non può diventare il cimitero del
Mediterraneo. E nessuno vuole che il Mediterraneo, culla di civiltà millenarie, sia segnato
in continuazione da tragedie umane: lunedì 9 febbraio sono morte 330 persone che si
aggiungono al bilancio agghiacciante di altre tragedie che l’hanno preceduta.
Come di solito si rimbalzano le responsabilità, si invocano interventi delle autorità
europee e nazionali per soccorsi in mare più efficaci. Interventi certamente necessari e
opportuni che non vengono però alla radice del problema.
Intervenire in mare significa intervenire solo sull’ultimo tratto del percorso tragico che
porta migliaia di persone a fuggire dalla fame, dalle carestie, dalle guerre, da dittature
spietate e movimenti terroristici. Subito dietro le spiagge meridionali e orientali del
Mediterraneo ci sono i conflitti interni della Siria e dell’Iraq, i macabri tagliagole dell’Isis,
la fine di comunità storiche multietniche e multi religiose, per secoli espressione di civile
convivenza tra professioni religiose islamiche, cristiane ed ebraiche, c’è la questione
palestinese, ci sono il disordine del Corno d’Africa, la destabilizzazione della Libia e del
Sahel, il terrorismo che devasta la Nigeria. Stati falliti e sistemi sociali allo sbando. C’è
anche una pressione demografica colossale che preme sulle sponde del Mediterraneo a
fronte della caduta del tasso di natalità europeo. Entro pochi decenni Africa e Medio
Oriente potrebbero esprimere una popolazione quattro-cinque volte quella europea.
L’Italia non è il solo paese di approdo di un enorme flusso umano che cerca asilo e
accoglienza, pace, sicurezza, benessere, sopravvivenza, un futuro. Anche Grecia, Malta,
Spagna sono sottoposte alle stesse pressioni migratorie. Ma soprattutto ci sono “cammini
della speranza” gestiti dalla criminalità internazionale che portano sulle rive del
Mediterraneo questa umanità dolente e disperata. Gruppi criminali, collusi con le forze di
controllo locali, che percepiscono somme elevate per trasportare poveri esseri in fuga
sulle rive del Mare Nostrum, che li raccolgono poi in vere e proprie carceri, soprattutto in
Libia, prima di offrire loro precarie condizioni di attraversamento del mare su
imbarcazioni fatiscenti oppure su traghetti di linea grazie ad autotrasportatori
compiacenti, pronti a nasconderli tra la merce caricata, come rivelato dalla recente
tragedia del traghetto Norman Atlantic. E ci sono connivenze e organizzazioni criminali
che favoriscono i trasferimenti di immigrati attraverso l’Europa verso le destinazioni più
attraenti per prospettive occupazionali o di asilo.
Siamo di fronte a una tragedia umanitaria che stride con le Convenzioni internazionali
sulla tutela dei diritti umani, firmate dai nostri Stati. Che stride con la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea. Siamo di fronte a un vero e proprio traffico di esseri
umani, uomini, donne, minorenni, di fronte al quale non è possibile volgere lo sguardo
altrove o invocare soluzioni parziali. Non sono possibili soluzioni nazionali data la natura
del fenomeno. Non basta organizzare efficaci salvataggi in mare. Vanno invocati interventi
e responsabilità nazionali, europei, dei paesi di provenienza e mondiali.
Come intervenire? Ci sono cose che si possono fare subito e altre che richiedono tempo.
Certamente può essere riformata l’operazione europea “Triton” per farla aderire agli
standard risultati più efficaci dell’operazione “Mare Nostrum”, già condotta dall’Italia. Ma
non basta perché occorre intervenire a monte del fenomeno in Africa e in Medio Oriente,
alle radici della crisi con una molteplicità di iniziative e strumenti tutti da costruire. I passi
necessari possono essere elencati a fini di orientamento (o per un sogno ad occhi aperti):
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